Intellettuale, partigiano e poeta. Nella sua vita Aldo Braibanti si è occupato di arte, cinema, politica, teatro e letteratura ma, nonostante ciò, viene principalmente ricordato per il processo a cui fu sottoposto con l’accusa di aver plagiato il suo giovane amante rendendolo omosessuale.
Il documentario, che è anche stato in programma nell’ultima edizione del Florence Queer Festival tenutasi a La Compagnia, ripercorre la storia di Aldo Braibanti attraverso i racconti del nipote Ferruccio, di Piergiorgio Bellocchio, Lou Castel, Giuseppe Loteta, Dacia Maraini, Maria Monti, Elio Pecora, Stefano Raffo e Alessandra Vanzi.
Braibanti nacque in Emilia Romagna nel 1922, nel 1940 prese parte alla Resistenza partigiana fiorentina ma, verso la fine degli anni ’40, abbandonò la politica per dedicarsi a diversi aspetti culturali, in primo luogo quelli artistici. Nel 1962 si trasferisce a Roma dove, oltre a lavorare, coltiva un’intensa amicizia con Giovanni Sanfratello, un giovane di 23 anni appartenente ad una famiglia di ultraconservatori, cattolici e fascisti; i quali non riuscivano ad accettare che il loro figlio potesse scegliere una vita tanto diversa dalla loro. Il 12 ottobre del 1964 Ippolito Sanfratello, padre di Giovanni, presenta denuncia alla Procura di Roma contro Braibanti con l’accusa di plagio. In pratica, veniva accusato da Sanfratello di aver influenzato suo figlio e di avergli imposto le proprie visioni e i propri principi. I primi di novembre quattro uomini irrompono nella pensione romana in cui i due erano ospitati e portano via Giovanni con la forza, trasferendolo prima a Modena in una clinica privata per malattie nervose, poi al manicomio di Verona dove subirà “…un grande numero di elettroshock e vari shock insulinici. Tutto questo contro la sua volontà, tenendolo isolato dai suoi amici, dai suoi avvocati e da chiunque avesse ascoltato le sue ragioni”, come scrisse Alberto Moravia nel testo intitolato Sotto il nome di plagio. Nonostante ciò, Giovanni Sanfratello dichiarò al processo di “non essere stato soggiogato” ma, quelli che denunciavano il plagio, non dettero nessun valore alle sue dichiarazioni. Il pubblico ministero arrivò così a dichiarare che: “Il giovane Sanfratello è un malato, e la sua malattia ha un nome: Aldo Braibanti”. Il processo, che può essere definito come “un processo a Oscar Wilde con un secolo di ritardo”, durò 4 anni e fu usato anche a scopo propagandistico per dimostrare che i comunisti (come Aldo) stavano corrompendo la gioventù italiana e i valori familiari tradizionali.
In un mondo che tende all’amnesia politica e sociale ogni giorno di più non è solo importante ma addirittura necessario che ci sia chi, come Giardina e Palmese, tolga qualsiasi alibi all’oblio riproponendo vicende che i meno giovani hanno vissuto e dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) ricordare e che i giovani hanno il diritto di conoscere. (Mymovies)
REGIA: Carmen Giardina e Massimiliano Palmese
ANNO: 2020
PAESE: Italia
DURATA: 60 min
INGRESSO: 5€ intero/ 4€ ridotto