Torna a La Compagnia la rassegna FilmOpera: una selezione a cura del critico cinematografico Gabriele Rizza, in collaborazione con il Teatro del Maggio – Maggio Musicale Fiorentino.
Il mondo della lirica rappresenta un giacimento denso di sorprese. Il cinema lo intuisce fin da subito e fin da subito lo esplora. Così può sembrare paradossale ma i film tratti da opere ebbero una grande diffusione (e conseguente successo in termini economici) durante il periodo del muto quando non si potevano “ascoltare”. Un fenomeno che, soprattutto in Italia, godette di grande fortuna. Il popolo del melodramma era il popolo delle città, dei villaggi, delle campagne, della penisola tutta. Che su quelle pagine si riconosceva (e identificava) assente una vera scrittura narrativa. La musica lirica era nell’aria, era una “colonna sonora” quotidiana, era un patrimonio di tutti: l’unico autentico patrimonio popolare.
Non poteva non puntare su Puccini e su Tosca il tradizionale appuntamento cinematografico del Maggio Musicale Fiorentino. Il titolo pucciniano si trasferisce sullo schermo della Compagnia in quattro tappe. La prima è la Tosca di Benoit Jacquot (2001), pellicola che rientra nel genere film-opera a pieno titolo, non fosse per le voci di Angela Gheorghiu, Roberto Alagna, Ruggero Raimondi, ma che se ne distacca per l’impianto “sperimentale” che la caratterizza, in una alternanza “interno/esterno” ricco di fascino evocativo e di indiscusso potere attrattivo. E’ poi la volta di Avanti a lui tremava tutta Roma di Carmine Gallone (1946), che costruisce una così detta “opera parallela”, trasferendo la vicenda nella Roma del 1944, mantenendo arie e temi pucciniani, ma aggiornando situazioni e personaggi in una sorta di rilettura popolare dei temi della resistenza antinazista, protagonista una sempre “potente”, magnetica Anna Magnani. Ancora Tosca, anzi La Tosca, ma stavolta senza Puccini (le musiche sono di Armando Trovajoli), filmata da Luigi Magni (1973) come una saga popolaresca nella Roma trasteverina, una sceneggiata densa di umori e colori, tratteggiata da un cast di prim’ordine, capeggiato da una spumeggiante Monica Vitti. Chiude Casa Ricordi di Carmine Gallone (1956), gruppo di famiglia in un interno, tutta l’opera italiana d’Ottocento (il “siglo de oro” del nostro melodramma) alla corte del celebre editore milanese. Un salotto che diventa lo specchio, una panoramica aperta sulla società. Chiuso il capitolo Tosca/Puccini, complice il debutto della nuova opera commissionata dal Maggio a Fabio Vacchi, imperniata sulla figura della Pulzella di Orleans, verrà proiettato (in pellicola 35 mm) “La passione di Giovanna d’Arco”, capolavoro fra i massimi della storia del cinema, girato nel 1928 da Carl Theodor Dreyer, per sempre iscritto nel volto di Renée Falconetti. (G.Rizza)
INGRESSO: intero 4€, ridotto a 3€ per gli abbonati Amici della Musica e del Maggio Musicale Fiorentino, ai giovani possessori di Maggio Card e della Card di Rete Toscana Classica e ai possessori di biglietti delle opere in programmazione nei prossimi mesi al Teatro del Maggio (Jeanne Dark, Tosca).
PROGRAMMA
LUNEDì 20 MAGGIO, ORE 16.30
Tosca di Benoît Jacquot (2001, Francia/Italia/Germania, 126′ – in italiano)
Interpreti: Angela Gheorghiu, Roberto Alagna, Ruggero Raimondi, David Cangelosi, Sorin Coliban, Enrico Fissore, Maurizio Muraro, Vincenzo Salvatori
Introduce il critico Gabriele Rizza
Prodotta da Daniel Toscan du Plantier, da sempre sponsor dell’intreccio benefico fra cinema e melodramma, la Tosca di Benoit Jacquot rispolvera la nozione di film-opera alla luce di un nuovo modo di intendere il genere, dimostrando che se debitamente e intelligentemente manipolato, può offrire ancora delle belle sorprese. L’incursione del regista francese (parigino classe 1947) al suo primo cimento operistico, si muove su tre livelli. Prima che appaiono negli abiti di scena ottocenteschi, i tre protagonisti, Gheorghiu/Tosca, Alagna/Cavaradossi, Raimondi/Scarpia, vengono presentati in abiti moderni negli studi londinesi di Abbey Road (quelli dei Beatles) dove la partitura pucciniana viene registrata da Antonio Pappano alla testa dei complessi del Covent Garden. Un modo per dire: si tratta di un film a tutti gli effetti, un film “vero”, non un’opera filmata. Il procedimento un po’ spiazza ma è accattivante: il metodo funziona e farà scuola (vedi i recenti lavori per la Rai di Mario Martone). Sarà una Tosca non attualizzata, non iconoclasta, non stravolta, non eretica, sarà una Tosca fedele all’originale, impiantata nella musica ma pure capace di uscirne fuori, di farsi cinema emotivamente, di infiltrasi fra le risorse e le pieghe “sperimentali” della macchina da presa. La finzione è lì sullo schermo, sotto gli occhi dello spettatore: il canto sgorga a volte a bocca chiusa, a volte è sfalsato, fuori sincrono nei dialoghi che si sovrappongono alla voce, e alla fine, dopo che Floria Tosca si è gettata nel vuoto, Angela Gheorghiu appare in studio e bel bella annuncia la fine. Un film di slancio europeo (“la concezione è francese, il lavoro sulle scenografie essenzialmente tedesco, l’esecuzione musical è inglese, lo spirito italiano” commentava lo stesso Toscan du Plantier) che si muove fra la menzogna del playback, la verità del reportage, la finzione del cinema. Ci aiutano le parole di Benoit Jacquot: “Ho girato a Roma un sorta di documentario in Super8 nei luoghi della vicenda, senza i personaggi, più alcune sequenze nella campagna romana. Poi in studio in Germania abbiamo fatto le riprese in 35mm dell’opera, ricostruendo in maniera accurata quanto stilizzata, quasi astratta, vagamente metafisica, i tre luoghi canonici del dramma, Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo. Infine a Londra ho ripreso in bianco e nero le prove dei cantanti con l’orchestra, prima e durante l’incisione del disco”. Operazione complessa, ambiziosa. Un rebus, una scacchiera. Il melodramma che diventa più “irreale” del cinema, catapultato nella asetticcità dello studio di registrazione, sconfinato nell’iperspazio della ricostruzione ambientale confusa infine con la “realtà” architettonica delle location di riferimento. (G.Rizza)
LUNEDì 27 MAGGIO, ORE 17.00
Avanti a lui tremava tutta Roma di Carmine Gallone (1945, Italia, 98′ – in italiano)
Interpreti: Anna Magnani, Tito Gobbi, Gino Sinimberghi, Hans Hinrich, Edda Albertini, Ave Ninchi, Carlo Duse, Tino Scotti
Introduce il critico Gabriele Rizza
Il mestiere di Carmine Gallone, maestro incontrastato del cinema popolare dell’epoca, il più quotato esponente del film-opera e affini, genere che furoreggiò nell’Italia del secondo dopoguerra, non si fa distrarre dal potenziale extra musicale, fortemente legato al momento storico in cui il film fu girato (siamo nel 1946, le macerie del conflitto sono ancora fumanti, la nuova Italia repubblicana è ancora in fasce) e imbastisce un melodramma in piena regola, tormentato e avvincente, salutato da un plausibile happy end e da una clamorosa accoglienza al botteghino che coi suoi 156 milioni si piazza al quinto posto fra gli incassi della stagione 1946-47. Ma se al pubblico piace la critica lo stronca. Però se è vero che il risultato è “approssimativo” lo spunto narrativo è a suo modo geniale. La gelosia di Ada (Anna Magnani, la pasionaria Anna) fa involontariamente scoprire alla Gestapo che Marco (Sinimberghi), il tenore con cui deve interpretare Tosca all’Opera di Roma, davanti ai generali del Reich, nasconde un soldato inglese nella sua villa. Alla fine della recita i tedeschi vorrebbero arrestarli ma i macchinisti del teatro (core de Roma) si mettono in mezzo e li aiutano a fuggire attraverso una botola del palcoscenico mentre già si sentono arrivare gli americani. Sintetizza il Mereghetti: “Curiosa ‘opera parallela’ (il sottogenere più potenzialmente cinematografico, immaginifico e competitivo, ndr) che aggiorna situazioni e personaggi di Puccini in una sorta di rilettura popolare dei temi della resistenza antinazista”. La vicenda si svolge a cavallo del 4 giugno 1944 quando la Città eterna fu liberata. Gallone risveglia, attraverso il filtro del melodramma, il sentimento e le passioni di un paese che assapora le prime sorsate di libertà. Se Tito Gobbi canta da par suo come Cavaradossi alla Magnani che fa Tosca presta la voce Renata Tebaldi. (G.Rizza)
LUNEDì 3 GIUGNO, ORE 17.00
Tosca di Luigi Magni (1973, Italia, 103′ – pellicola 35 mm in italiano concessa da CSC – Cineteca Nazionale)
Interpreti: Monica Vitti, Gigi Proietti, Umberto Orsini, Vittorio Gassman, Aldo Fabrizi, Fiorenzo Fiorentini, Gianni Bonagura, Ninetto Davoli, Marisa Fabbri
Introduce il critico Gabriele Rizza
Il melodramma diventa commedia musicale, il tono da tragico si fa ironico, il clima da retorico sfuma nel grottesco, l’ambiente da aulico sfocia nel plebeo, la retorica si confonde con l’umorismo. In questo caso trasteverino. Denudata da ogni orpello e drappeggio mèlo, La Tosca di Luigi Magni si appropria della musica di Puccini, delle sue immortali melodie, come della drammaturgia di Sardou, e con spirito iconoclasta e anticlericale le consegna “rugantinescamente” (non dimentichiamo che Magni aveva collaborato con Garinei e Giovannini alla “sceneggiatura” del celeberrimo “Rugantino”) allo spassoso birignao e ai couplets romaneschi di un cast quant’altri esuberante, un ensemble vocale alto e basso, colto e popolare, inclito e grezzo, un cast di straordinario spessore metafisico e sublime equilibrio vernacolare. “Luigi Magni – scrive nella sua Storia del cinema Giampiero Brunetta – mette in scena l’anima schietta, lo spirito laico di un popolo che riesce a difendere la propria identità e la propria vitalità, che cede alle tentazioni della carne senza preoccuparsi troppo dell’inferno né desiderare la beatitudine del paradiso promesso dagli eserciti del papa”. L’operazione imbastita da Magni, alimentata da una vena gaglioffa e divertita, si colora dei toni della parodia, sfiora la caricatura, spinge fino in fondo il pedale dell’ironia, l’enfasi del melodramma viene rovesciata come un guanto in versione rivistaiola “Roma nun fa la stupida stasera” o per meglio dire in ottica da opera buffa: un terreno sempre fertile dove scattano volutamente, con pochissimo sforzo, i riferimenti alla nostra epoca. La critica si divide ma lo spettacolo è vincente. Il bello è che nel film, inizialmente pensato come una commedia musicale da portare in giro per i palcoscenici della penisola, non scorre neanche una nota di Puccini. La gustosa girandola di trovate e i dialoghi spesso in rima (“dall’acceso chiaroscuro dialettale” annota Guglielmo Biraghi sul Messaggero) vengono solleticati dalla colonna sonora e dalle canzoni di Armando Trovajoli, che contaminano lo stornello popolaresco con la strimpellata folk, Beethoven e Paisiello con il “Ça ira” e la banda paesana. (G.Rizza)
LUNEDì 17 GIUGNO, ORE 16.00
Casa Ricordi di Carmine Gallone (1973, Italia/Francia, 127′ – pellicola 35 mm in italiano concessa da CSC – Cineteca Nazionale)
Interpreti: Paolo Stoppa, Nadia Gray, Andrea Checchi, Elisa Cegani, Miriam Bru, Danièle Delorme, Renzo Giovampietro Roldano Lupi, Micheline Presle, Memmocarotenuto, Sergio Tofano, Carlo Hintermann, Fosco Giachetti, Roland Alexandre, Marcello Mastroianni, Maurice Ronet, Gabriele Ferzetti, Fausto Tozzi, Renzo Giovampietro, Micheline Presle, Sergio Tofano, Elisa Cegani, Myriam Bru, Nelly Corradi
Introduce il critico Gabriele Rizza
La storia della famiglia Ricordi e del suo capostipite Giovanni. Che da piccolo stampatore raggiunge il successo promuovendo la grande musica operistica. Il nostro romanzo popolare. Gallone racconta la carriera del grande editore musicale milanese che esordì nel periodo napoleonico e lasciò ai suoi successori un patrimonio inestimabile. La storia è nota. Giovanni, dopo aver comprato un nuovo torchio, ottiene di poter recuperare gli spartiti che stanno marcendo nei magazzini del Teatro alla Scala. Avvia così l’attività di quella che diventerà la più importante casa editrice musicale del nostro Paese. Prodotto dalla stessa Ricordi per celebrare i 150 anni della ditta, il film firmato Carmine Gallone (alla sceneggiatura collaborano Age, Scarpelli, Luigi Filippo D’Amico, Nino Novarese, Leo Benvenuti mentre come operatore esordisce un nome che diventerà famoso, Giuseppe Rotunno), sfodera una sorta di nazionale del belcanto capeggiata da Paolo Stoppa nei panni del capo famiglia. Scorrono allora in passerella tutti i musicisti più noti del pentagramma operistico del Belpase: da Giuseppe Verdi che ha il cipiglio di Fosco Giachetti a Gioachino Rossini (Roland Alexandre), da Gaetano Donizetti che ha la faccia furba del trentenne Marcello Mastroianni, da Vincenzo Bellini cui presta il volto Maurice Ronet (farà lo stesso nel successivo Casta Diva del 1956 a Giacomo Puccini interpretato da Gabriele Ferzetti, fino ad Arrigo Boito (Fausto Tozzi), tutti in gran spolvero, incalzati da arie e romanze, scene e melodie delle opere più celebri cantate da Mario Del Monaco, Renata Tebaldi, Giulietta Simionato, Tito Gobbi, Italo TajoGino Mattera, mentre sul podio si alternano Franco Capuana, Gianandrea Gavazzeni, Gabriele Santini, Franco Ferrara. Resta il fatto che attraverso la saga dei Ricordi, il film traccia anche la storia della lirica italiana dell’Ottocento e del primo Novecento: il “siglo dei oro del melodramma”. Il film si chiude con Giulio Ricordi, ormai anziano, assistito dal figlio Tito: insieme accolgono un musicista giovane e sconosciuto che dovrebbe essere Zandonai: il futuro. A commento finale riportiamo quando scrisse Gian Luigi Rondi sul Tempo all’uscita del film: “Gallone si è sbizzarrito con un impegno rievocativo tutto hollywoodiano, profondendo masse, scenografie, orchestre, luci e colori, e non lesinando nemmeno, in vista di molte lacrime, certe facili scene a tinte piuttosto forti. Il risultato così è esattamente quello cui lo spettatore mirava”. (G.Rizza)
VENERDì 28 GIUGNO, ORE 19.00
La passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer (1928, Francia, 97′ – pellicola 35 mm muto/sott. ita parz. concessa da Lab80)
Interpreti: Renée Falcoonetti, Eugène Silvain, Maurice Schutz, Michel Simon, Antonin Artaud
Introduce il critico Gabriele Rizza
La critica cinematografica riconosce in Carl Theodor Dreyer un ineguagliato maestro di stile e autore di alcuni dei film più rigorosi della storia del cinema. Lontano dal ricorrere ai facili formalismi, Dreyer descrisse con uno stile ascetico e con una notevole forza espressiva la complessità morale dell’uomo, sondando le profondità spirituali della fede, dell’amore e della morte. Dopo “Il padrone di casa” (anche noto come “L’angelo del focolare”) del 1925, la Société Genérale des Films gli affidò la realizzazione di un lungometraggio su Giovanna d’Arco. Il film, a cui lavorò anche sul montaggio, uscì nelle sale nel 1928. Con l’aiuto di Michel Champion scrisse la sceneggiatura, che nasceva da studi diretti sulle trascrizioni originali del processo. Dreyer creò un capolavoro di emozione che si divide equamente tra realismo e espressionismo, tra spontaneità e ordine, tra chiusura storica della religione e apertura della fede. L’andamento stilistico, riducendo gli elementi drammatici, porta ad ampliare i significati: spazio, luce, espressività dei volti ne sono i pilastri. La pulzella trova la sua “fisicità” ideale in Renée Falconetti (1892-1946): una interpretazione memorabile. Che andò ben oltre il semplice immedesimarsi, diventando quanto di più vicino a una vera e propria “reincarnazione” si sia mai verificato su un set cinematografico. Dreyer, alla ricerca di un’attrice dal volto intenso da perlustrare con l’occhio della macchina da presa in primi piani che facessero a meno di ogni tipo di trucco, trovò in lei la “verità” di una intensità dolorosa, quasi naturalmente espressionista: un volto “contadino” che neppure le più paludate convenzioni teatrali riuscivano a nascondere o mortificare. Non solo i capelli dell’attrice furono realmente tagliati davanti alla troupe, ma secondo la testimonianza di Jean Mitry, Falconetti accettò di lasciarsi stringere le caviglie in una morsa durante la scena del supplizio (poi tagliata dalla censura) che fu provata per un’intera settimana. Di qui l’intensità insostenibile dei suoi primi piani, valorizzata dalla fotografia di Rudolph Maté e dall’essenzialità rigorosa delle scenografie di Hermann Warm. Di fronte ai volti grotteschi, minacciosi e terrificanti dei giudici che la circondano, la incalzano e la perseguitano con mille domande e trabocchetti, sul suo viso si disegnano paura, dolore e angoscia, ma anche forza incoercibile. Tra gli attori c’era Antonin Artaud (il monaco Massieu) che parlò poi della strana corrente psichica che si era stabilita sul set tra lui, Dreyer e Falconetti, indipendentemente dalle loro volontà. Il fatto che l’attrice fosse rimasta segnata sul piano nervoso dall’esperienza del film è probabilmente una leggenda, dato che riprese senza difficoltà e con successo la carriera teatrale, e tornò addirittura a impersonare sul palcoscenico il personaggio della Pulzella nella “Jeanne d’Arc” di Saint-Georges de Bouhélier (1934). (G.Rizza)