Viviana Tacchella, Rossella Canaccini, Daniela Santerini e Franca Deni, sono i nomi di quattro donne toscane ‘ribelli’ che nel 1968, in un clima di contestazione e grandi innovazioni nel panorama musicale, formarono una band: Le Stars. Dalla provincia industriale di Pontedera e Piombino, e da altre località toscane, le ragazze, insieme ad una quinta compagna, Manuela, vengono chiamate a far parte del gruppo da un giovane manager di spettacoli, Saggini Ivo.
Ma dopo alcune date in varie regioni italiane, durante le quali il manager è un po’ un padre per le cinque ragazze, quasi tutte minorenni, arriva un ingaggio importante, verso l’Asia: Manila, il Giappone, Hong Kong. Singapore. La partenza verso queste mete lontane viene vissuta con entusiasmo.
Ma ad essere previsto nel contratto – cosa che sfugge probabilmente allo stesso manager – è che Le Stars tengano 4 concerti il giorno di 45 minuti, per tirare su il morale ai soldati americani di stanza a Saigon, proprio mentre la guerra degli Stati Uniti contro il Vietnam è in pieno svolgimento. Il contratto era chiaro: bisognava restare a suonare per tre mesi, altrimenti avrebbero dovuto pagare una penale alta, cosa impossibile per loro. Anche per i genitori sarebbe stato impossibile riportarle a casa.
Così le ragazze, a partire dal brusco atterraggio nell’aeroporto militare di Saigon si trovano in uno scenario di guerra, tra esplosioni, soldati morti, feriti o mutilati, bombe al napalm e mitragliatrici.
E’ questa l’incredibile storia raccontata dal docufilm, firmato da Wilma Labate, Arrivederci Saigon, presentato in anteprima a Venezia 75, dove ha ricevuto molte critiche positive e 15 minuti di applausi, e che sarà presentato in anteprima Sabato 20 ottobre alle ore 21 alla presenza della regista.
La produzione è toscana, targata dall’azienda pratese Solaria Film, di Emanuele Nespeca.
Il tocco della Labate è delicato nel trattare un tema così cruento come la guerra in Vietnam. Inquadrature delle risaie dei Vietcong si sovrappongono alle campagne nelle periferie operaie toscane, quasi a rimarcare un ideale filo che univa le due terre così lontane: il Comunismo.
Comuniste erano anche Le Stars, figlie della classe operaia e frequentatrici delle Case del Popolo della rossa Toscana, dove gli Americani erano considerati come gli invasori e non come i salvatori, nel conflitto bellico asiatico. Le immagini del film raccontano del maggio francese, dei movimenti studenteschi del ’68, e le posizioni della sinistra sulla guerra in Vietnam. Ma i ragazzi americani incontrati da Le Stars erano a loro volta delle vittime di quella guerra. “Quei ragazzi erano giovanissimi, avranno avuto appena vent’anni, o forse diciotto. Ci guardavano e piangevano”ricorda Rossella. “Li vedevi partire sugli elicotteri e la sera tornavano cadaveri, quando magari il giorno prima ci avevi cantato insieme”.
Il docu-film porta lo spettatore ad immergersi in quella realtà così particolare vissuta dalle musiciste adolescenti, nella loro condizione sociale, nell’avventura incredibile taciuta per cinquant’anni e ora tornata alla memoria, in un’esperienza che per le ragazze è stata una ferita grave, una cesura nello loro giovani vite, che non sarebbero più state le stesse al loro ritorno.
Arrivederci Saigon, non indulge sugli aspetti tragici di quell’esperienza, ma fa emergere i drammi esistenziali andati in scena in quei mesi del 1968 e avvicina lo spettatore a queste miti signore, ormai settantenni, che ognuno di noi potrebbe incontrare al mercato a fare la spesa o ad una festa paesana, ma che nascondono nella loro memoria un vissuto così incredibile e importante.
Sono state coraggiose Le Stars: perché sono diventate musiciste nonostante le umili origini; perché hanno formato una band e sono diventate donne emancipate – come si diceva ai tempi – per realizzarsi nel mondo dello spettacolo; perché hanno vissuto gli orrori della guerra, loro malgrado; perché hanno avuto la forza di ricominciare una vita ‘normale’ una volta tornate a casa.
E adesso, grazie ad Arrivederci Saigon, Le Stars si raccontano, ed è un piacere ascoltarle. A testimoniare i loro racconti, poche fotografie scattate a Saigon, articoli di giornale, lettere e cimeli. Mancano in effetti a corredo del film riprese video originali fatte sul posto, ma considerata la situazione, la cosa è più che comprensibile.
Frasi spontanee, che restituiscono anche una certa ironia delle protagoniste. Arrivederci Saigon è un documentario da non perdere, per il valore storico e per il tocco originale nella regia. La fotografia è firmata da Daniele Ciprì, regista affermato, artista outsider e sperimentatore, vincitore di importanti premi, contribuendo a dare al racconto una uniformità di immagini non semplice da trovare, tra presente e passato.
Elisabetta Vagaggini